SUPPORTARE UN FAMILIARE MALATO: quali sono i bisogni di chi si prende cura?

La malattia organica e il dolore del corpo sono esperienze che possono rendere straziante l’esistenza di chi le sperimenta e dei suoi familiari: la vita viene frantumata e la persona si trova di fronte all’essenza dell’umana fragilità. L’ autonomia è perduta e si rende necessario l’aiuto di familiari e personale sanitario, per svolgere compiti e cure che un tempo erano parte della propria quotidianità.

La persona malata sperimenta il limite della condizione umana, spesso in una silenziosa solitudine.

La solitudine del malato, oltre ad essere fisica – qualora si trovi costretto in un ospedale o limitato nella propria abitazione – è essenzialmente interna: la malattia rende impotenti e bisognosi.

Così, la condizione patologica e dolorosa è spesso vissuta come una minaccia da parte dell’intera famiglia. Una minaccia che rompe tutti gli equilibri, recando con sé un penoso sentimento di impotenza accompagnata a stati di terrore, inquietudine e panico.

La malattia avvicina chi soffre e chi accudisce al pensiero della morte – stravolgendo l’assunto freudiano per cui la negazione della morte è un principio di civiltà – e ponendo la persona di fronte all’angoscia della propria finitudine.

Nella malattia, il tema del corpo diventa l’argomento centrale, tanto da richiedere tutta l’attenzione e l’energia del malato e, spesso, di chi si occupa di lui.

La malattia scopre le parti fragili della nostra umanità, liberando un antico desiderio di accudimento, che richiama la sicurezza della propria infanzia.

La frammentarietà e la perdita del controllo sul proprio corpo, la perdita della propria autonomia, l’attacco alla vitalità possono essere vissuti come un’ingiustizia, provocando delle emozioni molto forti di rabbia e rifiuto, sia nel malato, che nei familiari che si sentono impotenti di fronte a qualcosa che trascende la loro capacità di cambiamento.

La presa in cura della persona con una malattia organica non dovrebbe prescindere, dunque, dall’essere una cura integrata, che possa contrapporsi alla frammentazione. È necessario, per ristabilire un equilibrio che tenga conto della nuova realtà, che la persona possa essere aiutata e sostenuta attraverso una riabilitazione “corpo e mente”.

La persona malata ha bisogno di un accudimento affettuoso, che lenisca il dolore del corpo e, allo stesso tempo, di uno spazio mentale che dia voce al dolore e dia significato alle emozioni, affinché queste possano essere pensate e non agite. Nominando il dolore, quest’ultimo si rende meno dilagante: confinata nella parola, la sofferenza può diventare sorgente di nuove risorse emotive, grazie alle quali affrontare la vita con meno sofferenza.

Tuttavia, la stessa necessità può essere vissuta anche dal familiare che si prende in carico la persona sofferente: un figlio, un marito, una moglie, un fratello. Spesso, il carico che queste persone si portano addosso può essere tanto grande da schiacciare chi lo sostiene.
Il familiare, infatti, è molto spesso una persona che non ha competenze assistenziali e che all’improvviso deve occuparsi del proprio caro, affrontando i timori e gli stravolgimenti della vita quotidiana che la nuova condizione comporta.

Affinché la cura si renda davvero tale, è necessario che non si arrivi a questo punto: affinché sia portato, il peso deve essere sostenibile. È importante, per la salute di tutti gli attori coinvolti, che chi accudisce possa farlo riuscendo a conservare la propria vita e i propri spazi, sia fisici che mentali. Prendersi cura di chi soffre non è facile: il contatto con il dolore e la fragilità dell’altro pone di fronte ai propri limiti, facendo emergere parti di sé a loro volta fragili e altrettanto bisognose di aiuto. Può capitare, così, che queste persone possano sentirsi stanche e sopraffatte dalla situazione, impotenti, talmente assorbite dall’impegno verso l’altro, da tralasciare di curare se stesse.

A volte, la persona che accompagna e sostiene ha bisogno lei stessa di uno spazio mentale di rielaborazione, per portare avanti con più risorse un compito che può rivelarsi molto doloroso e faticoso.

In questi casi, il supporto emotivo può rendersi molto utile ad affrontare un ruolo così complesso e delicato e che può far emergere parti di sé fragili e sconosciute, magari sommandosi a situazioni della vita attuale già difficili da affrontare.

Avere uno spazio di pensiero in cui dare voce alle proprie emozioni permette di attivare nuove risorse interne, necessarie perchè la cura amorevole resti una risorsa e non si trasformi in un ostacolo.

Un compito che, tuttavia, se affrontato mantenendo vivo l’aspetto vitale del Sè delle persone coinvolte, può trasformarsi in un’esperienza che può arricchire di molto la nostra persona, le nostre emozioni e i nostri ricordi, accompagnandoci con calore nel faticoso viaggio della nostra vita.

3 commenti

  1. Avatar di valy71 valy71 ha detto:

    Buonasera, mio fratello ha assistito sua moglie, mia cognata, in questo difficilissimo processo, con le figlie e l’aiuto nell’ultimo periodo di una Dott.ssa e di un Infermiere.
    Mia cognata non c’è più, ma mio fratello non sa chiedere aiuto.
    Però è ancora troppo presto.
    Un saluto

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    1. Buongiorno,
      credo che la sua frase finale “però è ancora troppo presto” sia una consapevolezza dolorosa ma altrettanto importante. L’elaborazione della perdita necessita di un proprio tempo.
      Non è facile aiutare chi soffre per una perdita, soprattutto se anche noi ne siamo coinvolti come familiari. Immagino la sua preoccupazione per suo fratello e il desiderio di aiutarlo…
      Un caro saluto

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      1. Avatar di valy71 valy71 ha detto:

        La ringrazio molto Dott.ssa, un caro saluto

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