DOLORE DEL CORPO E MALATTIA CRONICA. Quando il corpo diventa una prigione.

Il dolore può porre di fronte alla triste e angosciante esperienza della solitudine.

Essendo altamente influenzato da emozioni e pensieri personali e dall’interazione tra corpo ed emozioni, una prolungata malattia può generare stati emotivi molto forti: tristezza, rabbia, paura e persino angoscia. Allo stesso modo, emozioni intense possono influenzare il dolore del corpo, come nell’esperienza del parto, in cui il dolore è attenuato dal forte impatto emotivo vissuto dalla madre.

Nella risposta al dolore anche gli aspetti socio-culturali, le nostre credenze – tramandate dalla società o dalla famiglia- influenzano il modo in cui reagiamo. Ad esempio, se il nostro background valoriale ci spinge al sacrificio e alla sopportazione, potremmo vedere il dolore come una prova alla quale resistere. Così, anziché curarci, sopportiamo finché passa da solo.


Un esempio di come questi sistemi influenzano gruppi molto vasti di popolazione, giunge da Haiti: gli abitanti dell’isola chiamano Maladi Moun– ovvero “malattia causata umanamente”- alcuni disturbi fisici e mentali che ritengono essere causati dalla malevolenza e dall’odio esercitati da persone invidiose. Il Maladi Moun, simile al malocchio, è un esempio di come una credenza popolare possa diventare un modello esplicativo delle cause delle malattie. Queste credenze che possono apparire molto bizzarre, inconsapevolmente ci accompagnano molto più di quanto non crediamo.

Quando il dolore diventa la tua prigione

Nel libro La solitudine dell’Anima, Eugenio Borgna mette in evidenza come questa difficile esperienza possa ristrutturare completamente la vita di chi ne è coinvolto: a partire dalle relazioni personali, fino alla percezione dello scorrere del tempo.

L’esperienza del dolore fisico cambia profondamente il rapporto con la propria esistenza, la propria immagine di sé, il senso del proprio esserci nel mondo, ponendo chi soffre dinanzi a riflessioni molto profonde, che possono diventare anche estremamente angoscianti.
Alla malattia, infatti, conseguono rimbalzi emozionali che possono essere di natura depressiva o ansiogena, oppure oscillanti tra la disperazione e la speranza inquieta. 

“La malattia acuta è divorata dal presente, quella cronica dal futuro […] Nella malattia acuta non viene mai meno la speranza come apertura al futuro; mentre nella malattia cronica il futuro non è se non la ripetizione senza fine di un presente sempre uguale: al di là, talora, di ogni possibile speranza…Il tempo della cronicità è, così, il tempo dell’angoscia, e il tempo della crisi radicale della propria identità”

EUGENIO BORGNA

La malattia cronica e il dolore ad esso legato impattano fortemente sull’intera qualità di vita della persona che, resa ancora più fragile di quanto non lo sia per la condizione stessa della natura umana, resta ingabbiata in una dimensione di dipendenza. Percepirsi bloccati in una malattia cronica modifica la possibilità di pensare a se stessi come pellegrini del mondo: difficile è progettare e guardare avanti, perchè ogni volta che lo si fa si ripresenta un futuro identico al tempo presente, contrassegnato dal dolore e dall’immobilità.

La malattia diventa così una gabbia che impedisce
ai nostri sogni di spiccare il volo.

Le caratteristiche individuali di ogni persona, la sua storia biologica e quella esistenziale influenzano fortemente il modo in cui il dolore viene integrato nella propria vita. Ecco perchè, per affrontarlo, diventa fondamentale prendere in considerazione tutti quanti i fattori che costituiscono la persona nella sua integrità, toccando i differenti aspetti organici, comportamentali, socio-culturali e psicologici, in una gestione che coinvolga diverse figure professionali. 


Perchè si possa vivere una vita dignitosa, la cura deve poter mettere l’accento sull’ unità mente-corpo e su tutte le implicazioni che da essa derivano.


Chi soffre deve essere sostenuto in un dialogo con se stesso attraverso il quale dare voce al dolore e alle emozioni, affinché si possano trovare dentro di sé nuove risorse, indispensabili per garantire l’integrità esistenziale che la malattia spezza e per promuovere una qualità di vita dignitosa.


La patologia cronica può rendere molto difficile la convivenza con se stessi – e con gli altri – e chi soffre è spesso alle prese con un costante lavoro di definizione e ridefinizione dei propri significati, all’interno di sé e delle proprie relazioni intime.
Il dolore può così porre di fronte alla triste e angosciante esperienza della solitudine.

Quando il dolore grida in silenzio dentro di noi siamo indotti a lacerare le nostre abituali relazioni interpersonali, e sociali, e a rinchiuderci nei confini di una solitudine. Il dolore del corpo, il dolore febbrile e sanguinante di un corpo ferito, ci trascina in una solitudine-isolamento quasi impenetrabile  Eugenio Borgna

Ascoltare il grido del dolore non è facile: necessita di tanta pazienza, attenzione, cura e silenzi che possano dare voce alla sofferenza.
Il nostro corpo racconta la nostra storia, è un testimone silenzioso delle sfaccettature delle nostre emozioni, del nostro vissuto intimo e soggettivo. La sofferenza, del corpo e della mente, necessita di uno spazio di comprensione, delicato e rispettoso, necessita di parole calde che possano mantenere viva la spinta vitale.

riferimenti 
American Psychiatric Association, & American Psychiatric Association. (2013).
DSM 5. American Psychiatric Association, 70.Bear, M. F., Connors, B. W., & Paradiso, M. A. (2007).
Neuroscienze. Esplorando il cervello. Elsevier srl.
Borgna, E. (2010). La solitudine dell’anima. Feltrinelli Editore
Ciceri, M. R., Amoretti, G. F., & Feldman, R. S. (2013). Psicologia generale
.Molinari, E., & Castelnuovo, G. (Eds.). (2010). Psicologia clinica del dolore. Springer Science & Business Media.

Sono Jenni Maria Bregoli, psicologa ad orientamento dinamico.
Lavoro a Brescia con adolescenti e adulti che vivono disagi legati alle difficoltà delle varie fasi della vita. Seguo il modello della psicoterapia psicoanalitica del Centro Studi Ariosto di Milano; ritengo che il concetto chiave della teoria freudiana – il concetto di conflitto inconscio – sia un punto di partenza imprescindibile per comprendere la persona e le molteplici vie attraverso le quali esprime la sua umanità e, quindi, il suo dolore…



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